Storia | Prima parte – La stazione di Empoli: infrastrutture, progetti e realizzazioni

A cura di Fausto Condello

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Una veduta interna della stazione di Empoli, notare la tettoria unica sui primi due binari

Ai lettori che non sono toscani, il nome di Empoli dice poco, anche se spesso in ambito ferroviario non sono mai mancate notizie che hanno menzionato la città per rotabili in prova sulla linea (come ad esempio il recentissimo ETR1000, ndr) che da Livorno per Pisa giunge a Firenze. In effetti, per conto del Servizio Materiale e Trazione prima e dell’Unità Tecnologie Materiale Rotabile oggi, tutti i nuovi mezzi progettati per conto delle ferrovie italiane si può dire che siano stati svezzati qui.

A taluni il nome della città farà venire in mente rimembranze storiche, ad altri che la squadra milita nella massima serie di calcio, unica tra le provinciali abituata a salire in Serie A. Ma quanto agli argomenti ferroviari Empoli appare solo come un’importante stazione di transito della linea trasversale che collega il capoluogo fiorentino con la costa tirrenica, dalla quale si stacca la linea che porta a Siena.

Quando Empoli fu interessata, a breve distanza di tempo, da quelle due nuovi costruzioni ferroviarie era una cittadina di circa 15mila500 abitanti con un territorio di poco superiore a 61mila chilometri quadrati, la cui economia era ancora prevalentemente fondata sull’agricoltura ma dove era già sorta la prima fabbrica di fiammiferi in Italia e vi erano interessanti prospettive per la nascente attività vetraria. Delle due strade ferrate, la prima e già ricordata Livorno-Firenze, detta poi “Leopolda”, che nelle intenzioni dei promotori avrebbe dovuto unire il principale porto toscano con la capitale attraverso la valle dell’Arno, arrivò il 21 giugno 1847, dopo aver già unito Pisa a Pontedera; l’altra per Siena, denominata “Centrale Toscana”, il 14 ottobre 1849.

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Anni 20 – Un’altra veduta della stazione di Empoli

La scelta del tracciato della “Leopolda” avvenne dopo un acceso dibattito che vedeva contrapposte opinioni  diverse su quattro ipotesi di progetto, a destra o sinistra dell’Arno, che inevitabilmente interessavano località e paesi diversi. Si scontravano il vecchio adagio economico secondo il quale “il miglior progetto d’utilità pubblica è quello che fa partecipare il gran numero possibile d’interessi privati ai vantaggi che questo presenta”, e quello moderno, futuribile se vogliamo visto che ancora eravamo in epoca pre-unitaria, che vedeva nel nuovo spirito nazionale il motivo principale per superare odii e rivalità di campanile a favore di un nuovo industrialismo che poteva generare nuova distribuzione di ricchezze a patto che la linea nascesse in una visione sistemica e razionale. Gli eventi del nostro paese ci hanno insegnato quante volte questo dibattito si sia ripresentato nel corso della storia delle opere pubbliche e quanto sia attuale ancor oggi, sebbene appaia dipinto di argomenti e motivazioni diverse.

Il percorso scelto fu, infine, quello che vedeva la linea correre da Livorno a Pisa in linea retta da sud-ovest a nord-est, poi da Pisa seguire la sponda sinistra dell’Arno fino a superare il fiume oltre Montelupo Fiorentino e raggiungere Firenze mantenendosi sempre sulla sua destra.

A monte di Camaioni, nel comune di Montelupo Fiorentino, località presso la quale la linea passa sulla sponda destra, e fino alla stazione di Signa il tracciato risulta decisamente tortuoso e foriero di limitazioni di velocità e capacità. Giunto a noi sostanzialmente nello stato in cui lo progettò l’ingegnere Robert Stephenson, questa sua tortuosità sta alla base della decisione di realizzarne una variante, inaugurata nel 2005 e praticamente tutta in galleria, per garantire le medesime prestazioni del resto della linea che ammette oggi velocità superiori a 140 km/h, anche se il tracciato antico non è stato abbandonato stante la sua utilità per il servizio locale, ma anche per velocizzare i collegamenti sull’altra linea, visto che in quella storica vengono dirottati comunque tutti i treni merci.

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A metà degli anni trenta la stazione di Empoli si amplia con nuove tettoie a pensilina

La decisione dei progettisti ottocenteschi tagliò fuori città come Lucca, Pescia, Montecatini Terme, Pistoia e Prato, ma permise un innegabile sviluppo a tutti quei centri del medio Valdarno che direttamente o indirettamente ne furono toccati. Lucca non ebbe a lamentarsi poi tanto poiché negli stessi anni fu unita con Pisa (1846) e le altre città della Valdinievole per mezzo della quasi coeva linea “Maria Atonia” (in onore della Granduchessa della Toscana, così come “Leopolda” era l’attributo in onore del marito Leopoldo II d’Asburgo Lorena) realizzata prima per un breve tratto (Firenze-Prato), e completata fino a Lucca non senza qualche difficoltà.

Il tracciato da Empoli per Siena scaturì da considerazioni quasi ovvie, dovendosi percorrere per comodità la maggior parte della Valdelsa e poi passare in quella, più piccola, del torrente Staggia, ma i quasi 64 km della Empoli-Siena fecero ben presto immaginare prima, progettare e realizzare poi (senza più lo slancio dei primi tempi) prolungamenti verso Viterbo e Roma, tanto che dopo la costruzione delle linee per Grosseto e per Chiusi, Orvieto ed Orte, le progressive chilometriche ebbero inizio proprio dalla Capitale, con la prima linea ritenuta solo una parte del più lungo itinerario Chiusi-Siena-Empoli.

Il passaggio della “Leopolda” e l’origine della Centrale Toscana conformarono l’impianto empolese in un assetto che nella sostanza è rimasto immutato fino ad oggi. Ciò non è accaduto per altre importanti stazioni quali Pisa, il cui impianto fu praticamente abbandonato dopo un ventennio, Pontedera, che vide all’inizio del novecento l’impianto spostato verso ovest di circa 1 km poiché il primo non permetteva gli ampliamenti necessari ad un più organico servizio, e Signa, che ebbe la nuova stazione traslata in prossimità del luogo dove il Bisenzio sfocia in Arno.

Ad Empoli, sul lato nord della linea da Livorno, che fu a doppio binario fin dal 1850, nacque il fabbricato viaggiatori, di una certa consistenza se raffrontato con quelli delle altre località, per le quali l’esasperata parsimonia dei promotori finanziari titolari della società fece preferire poco più che baracche di legno o modesti edifici in muratura ad un solo piano. In effetti anche ad Empoli si realizzò, dapprima, un modesto edificio in legno; un anno dopo l’inaugurazione della linea esso du però seriamente danneggiato da un incendio che risultò il pretesto per mettere mano ad una sua completa ristrutturazione. Tale scelta fu probabilmente dettata dall’importanza della città, già centro di mercati agricoli e manifatturieri. La Società della Strada Ferrata Centrale Toscana realizzò un fabbricato indipendente da quello della Società per la Strada Ferrata Leopolda ma posto dallo stesso lato dei binari. Sul lato opposto, verso Firenze, fu posto il fascio di composizione dei treni e più oltre, in direzione sud, i binari tronchino per il ricovero di locomotive e veicoli, dove più tardi fu anche collocata una piattaforma girevole di 21 metri di diametro (segnatamente per le necessità legate ai servizi con Siena), oggi trasferita a Pistoia per le necessità del locale deposito locomotive adibito a ricovero dei mezzi storici.

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Un’altra inquadratura della stazione di Empoli: qui siamo negli anni sessanta

Dopo i primi anni di esercizio, nel 1860 la Leopolda divenne, fondendosi con altre società toscane, la Società delle Strade Ferrate Livornesi che nel 1865 confluì nelle Strade Ferrate Romane (SFR), così come la Centrale Toscana. Il difficile esercizio delle SFR, costellato di difficoltà economiche che si traducevano in scarsi interventi d’ammodernamento, terminò nel 1880 quando esse furono riscattate formalmente dallo Stato (che in realtà continuò la propria gestione precedente, assunta alcuni anni prima per far fronte alla difficoltà delle SFR) fino all’approvazione delle convenzioni Genala nel 1885, quando la linea Firenze-Livorno passò ad essere esercitata fino a Pisa dalla Rete Mediterranea e promiscuamente con la Rete Adriatica, che ebbe tutto il resto delle linee toscane, tra Pisa e Livorno. Tra il 1869 ed il 1875 si iniziò la sostituzione dell’armamento originale a doppio fungo inglese con rotaie a profilo Vignoles, operazione che ebbe a completarsi con i primi anni d’esercizio diretto statale.

I primi anni del XX secolo videro la crescita industriale e manifatturiera di Empoli grazie anche alle ferrovie e non mancarono studi per realizzare nuove linee che vi facessero capo. Se sullo scorcio del secolo precedente si era accennato ad una tranvia Empoli-Pontedera attraverso Fucecchio, Santa Croce e Castelfranco, fino alla metà degli anni venti si parlò a lungo di una ferrovia Empoli-Pistoia che avrebbe collegato le due città con un tracciato niente affatto difficile, per consentire più ampi sbocchi al traffico della Porrettana, aperta nel 1863; si proposero progetti di massima che nelle intenzioni degli ideatori concorrevano a quelli per una Lucca-Pontedera, quest’ultima poi realizzata ed inaugurata nel 1928 ma dalla breve e sfortunatissima storia. Più tardi, nel 1934, fu la volta di una ipotetica “direttissima” Empoli-Prato che avrebbe costituito il naturale prolungamento, verso sud e quindi Roma, della direttissima appenninica allora in corso di realizzazione da Bologna a Prato, senza interessare il nodo di Firenze, peraltro facilmente raggiungibile con collegamenti locali proprio da Empoli. A questo proposito si possono facilmente immaginare le opposizioni suscitate tra i fiorentini da tale progetto che, se attuato (orograficamente il tracciato non presentava difficoltà di sorta ed i costi erano ragionevoli), avrebbe tagliato fuori il capoluogo regionale dai collegamenti dorsali del Paese.

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In questa foto di fine anni settanta i due tipi di palificazione: quelli LS che affiancano gli “autarchici” tipo G

Superati i fervori progettuali, la stazione empolese continuò nell’attività di stazione di transito e d’intersecazione con la linea per Siena e tutto il suo entroterra. L’edificio e le sue pertinenze assursero caratteristiche sempre maggiori, con la realizzazione delle pensiline di ghisa ancora oggi al loro posto, marciapiedi nuovi e più lunghi, nuovo edificio dello scalo merci lato est e l’inizio dei lavori di elettrificazione a tensione continua a partire dal 1938, sospesi e protratti fino al 6 maggio del 1948, con una realizzazione peculiare in tutta la rete elettrificata FS per l’uso, in piena linea, della palificazione tipo G, detta anche “autarchica”, costituita da pali a sezione ovale (come il tipo Z, di cui si possono considerare un’evoluzione) nei quali venivano praticate finestre d’alleggerimento per risparmiare materiale ferroso.

Questi pali, dal limitatissimo impiego, rimasero in opera fino agli inizi degli anni ’80 quando furono sostituiti da “normali” Mannesmann che a loro volta stanno lasciando il posto oggi agli LS.

Sulla linea Firenze-Livorno, nei primi anni sessanta fu rinnovato l’armamento che risaliva in non brevi tratti all’anteguerra, con rotaie da 36 kg/m, e in altri era realizzato con rotaie del tipo FS 463 da 46,3 kg/m. Furono poste in opera rotaie tipo 50 UNI su traverse di legno, che rimasero fino ai primi anni settanta, quando furono introdotte le traverse di calcestruzzo armato precompresso. La decisione di adottare l’armamento pesante irrigidito con rotaie da 60 kg/m (60 UNI) e traverse di calcestruzzo è degli anni ’90 e fu attuata per tratti non omogenei, procedendo da Pisa.

Sulla linea per Siena, invece, per i minori carichi e la minor intensità di servizio, rimasero in opera rotaie da 36 kg/m su traverse di legno fino agli anni ’80, quando si decise di passare all’armamento tipo 50 UNI su traverse di calcestruzzo, tuttora in opera salvo talune località dove oggi risultano già introdotte rotaie tipo 60 UNI, specialmente nei tratti oggetto di raddoppio (per esempio la tratta compresa tra Granaiolo e Certaldo, ndr).

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